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Grande InterDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.![]()
La rosa dell'Inter 1965-66 che al termine della stagione avrebbe vinto lo scudetto della stella
La Grande Inter è il soprannome che è stato dato alla squadra di calcio dell'Inter in riferimento al periodo degli anni '60. In quegli anni, sotto la presidenza di Angelo Moratti, con l'allenatore Helenio Herrera, la società nerazzurra arrivò a vincere tre scudetti (1963, 1965, 1966), perdendo quello del 1964 allo spareggio con il Bologna dopo che il campionato era finito con le due squadre a pari punti, e arrivando seconda nel 1967 a causa della sconfitta all'ultima giornata contro il Mantova. Inoltre la squadra si impose in Europa con la conquista di due Coppe dei Campioni consecutive nel 1964 e nel 1965 (arrivando in finale nel 1967), in quegli stessi anni vinse anche due volte la Coppa Intercontinentale.
Piazzamenti [modifica]Il termine di Grande Inter non si riferisce ad un periodo ben definito, ma si può all'incirca identificare con le 8 stagioni in cui alla guida della squadra nerazzurra ci fu Helenio Herrera, dal 1960 al 1968. Ecco quali furono i piazzamenti della squadra in campionato in quel periodo:
Pur avendo vinto 3 scudetti e 2 coppe campioni, non ha potuto disputare nè la Super Coppa Italia e nè la Super Coppa U.E.F.A., in quanto tali competizioni non erano state ancora istituite. La nascita [modifica]Il 28 maggio 1955, un sabato, Angelo Moratti, che acquista la società per 100 milioni, diventa il nuovo presidente e patron dell'Inter. Mentre nelle giovanili cresce gran parte dei campioni del futuro, Moratti allontana Foni e punta su Aldo Campatelli. Il Campionato inizia bene, dopo sei Giornate l'Inter è in testa, ma una sequela di cinque sconfitte porta all'esonero. È chiamato a curare le ferite Giuseppe Meazza, che recupera posizioni e limita i danni chiudendo il 1955/56 al terzo posto. L'anno successivo Moratti punta sulla coppia Frossi-Ferrero. Il primo è un catenacciaro, il secondo un teorico dell'offensivismo puro. Una coppia in teoria complementare, in pratica inefficace. Meazza rileva ancora una volta la guida della squadra: una iniziale serie positiva porta l'Inter al secondo posto, poi cinque sconfitte consecutive la fanno scendere di parecchio. Con la vittoria nell'ultima Giornata 1956/57 i nerazzurri agguantano la quinta posizione. L'arrivo del centravanti Antonio Valentin Angelillo e del quotato allenatore John Carver non porta ancora risultati: nel 1957/58 la squadra si ferma al nono posto in classifica. Il disastro della stagione appena conclusa pesa sulla società, che in estate cede Ghezzi e Lorenzi e si affida a mister Giuseppe Bigogno. I risultati non sono dei migliori e a tre mesi dalla fine del Campionato 1958/59 ritorna in panca Campatelli, che chiude terzo e perde la finale di Coppa Italia. Si mettono in luce gli attaccanti: Edwing Firmani gioca la miglior stagione della sua carriera e Angelillo realizza 33 goal in 33 partite, risultato ineguagliato nella Serie A a 18 squadre, seppur segnando solo 5 volte nelle ultime 16 giornate. Il 1959/60 è una stagione transitoria. Parte Skoglud e in panca si siede la coppia Campatelli-Achilli. L'andata è ottima, ma il ritorno di campionato è decisamente in declino e la squadra è eliminata ai quarti in Coppa delle Fiere. Dopo una sconfitta nel derby viene esonerato Campatelli, dopo un mese tocca anche ad Achilli. Il ritorno di Giulio Cappelli permette di chiudere in quarta posizione. Nell'estate Moratti getta le basi di quella che sarà la Grande Inter: in panchina fa sedere il "Mago" Helenio Herrera, dopo che era rimasto stregato da questo allenatore in una partita che la sua Inter perse contro il Barcellona allenato proprio da Herrera per 4-0 la stagione prima, e dietro la scrivania l'esperto uomo di calcio Italo Allodi. Herrera rivoluziona l'Inter stravolgendo le tattiche e trasformando Picchi in efficace libero, ma non manca di portare il suo estro nel calcio italiano con l'invenzione del "ritiro". Lo Scudetto 1960/61 va alla Juventus fra le polemiche: durante lo scontro diretto con l'Inter, seconda classificata, la partita è interrotta da un'invasione di campo di tifosi bianconeri. L'Inter vince 0-2 d'ufficio, ma la FIGC (presieduta da Umberto Agnelli) contesta la decisione, delibera che l'invasione non avrebbe condizionato lo svolgimento della gara e ne ordina la ripetizione al termine del Campionato. L'Inter risponde mandando a Torino la Primavera, che perde 9-1 e chiude al terzo posto. L'unica segnatura nerazzura è siglata su rigore dal futuro campione Sandro Mazzola, che sigilla così il suo esordio. Commenterà poi acido il Mago:"Juve=FIAT, FIAT=potere".[1] Durante il periodo di mercato la chiacchierata vita amorosa di Angelillo porta il severo Herrera a ordinarne la cessione alla Roma (ma con la clausola che ne precluda un'eventuale successiva vendita a Milan, Fiorentina o Juventus).[2] Il "Mago" poi chiede e ottiene, per la cifra record di 250 milioni, il Pallone d'oro del Barcellona Luis Suárez, con cui vinse due campionati spagnoli e si piazzò in una finale europea contro il Real Madrid. Secondo l'allenatore è il regista adatto ai nuovi meccanismi di gioco, ma un repentino infortunio lo costringe però a rinunciarvi nei primi due mesi del Campionato 1961/62, che l'Inter chiude in seconda posizione. La Coppa delle Fiere si chiude con l'eliminazione ai quarti, in Coppa Italia addirittura agli ottavi. Si mettono però in evidenza i gioielli del vivaio, su tutti Giacinto Facchetti, Gianfranco Bedin e Sandro Mazzola. La grande Inter [modifica]Al terzo anno l'Inter parte con due nuovi acquisti: l'ala destra, riserva nella Brasile di Garrincha, Jair e Tarcisio Burgnich, che arriva dal Palermo dove la Juventus l'aveva parcheggiato come scarto. Il "Mago" Herrera azzecca gli acquisti che, uniti ai vecchi colpi di mercato, ai giovani ormai affermati e al talento di Mario Corso, dalle celebri punzioni "a foglia morta", trascinano l'Inter verso la gloria. La squadra parte lenta, ma si riprende a metà Campionato e vince quasi tutti gli scontri diretti, come nel brillante 4-0 inflitto al Bologna alla tredicesima di Andata. Dopo la vittoria nel Derby dominato da Mazzola arriva tuttavia la doccia fredda di una sconfitta a Bergamo contro l'Atalanta. Se l'allenatore non dà peso all'accaduto, Moratti raduna furioso la squadra e ordina di far giocare le riserve: in porta Bugatti, in mediana Bolchi e in attacco Maschio al posto di Buffon, Zaglio e Di Giacomo, che il "Presidentissimo" ritiene responsabili della sconfitta. La frustata scuote i ragazzi e l'Inter scavalca il Genoa 6-0. Due mesi dopo la vittoria sulla Juventus, ancora vanto di Mazzola, proietta i nerazzurri verso lo Scudetto 1962/63. La certezza matematica arriva la settimana dopo. Va meno bene la Coppa Italia: l'Inter è fuori ai Quarti. La vittoria in Serie A qualifica l'Inter in Coppa dei Campioni, e per affrontare la fatica dei due tornei arrivano il portiere Giuliano Sarti, il centravanti della Fiorentina Aurelio Milani e dal Catania il meno celebre Horst Szymaniak, ma nazionale tedesco fisso, in mediana, sin dai Mondiali del 1958. In Europa la cavalcata è trionfale: eliminato l'Everton (0-0/1-0), i nerazzurri infilano Monaco (1-0/3-1), Partizan (2-0/2-1) e Borussia Dortmund (2-2/2-0), raggiungendo la Finale contro il Real Madrid. Si gioca a Vienna il 27 maggio 1964, e in una serata in cui Carlo Tagnin annulla Di Stéfano e Aristide Guarneri ferma Puskás, l'Inter si impone per 3-1 con doppietta di Mazzola e rete di Milani. (In onore della verita' bisogna dire che non siamo comunque piu' al cospetto del Grande Real, i cui tre principali gioielli - Di Stefano, Gento e Puskas - sono piu' vicini alla quarantina che alla trentina... Il club campione d'Europa si fa valere altrettanto nella Serie A 1963/64, ma con esiti meno fausti. L'arrancante partenza è compensata da una buona ripresa. La squadra si trova prima in classifica dopo la penalizzazione inflitta al Bologna per l'uso di sostanze dopanti, ma una guerra di carte bollate ed intrighi poco chiari (le fialette che la giustizia sportiva intendeva usare per dimostrare il doping furono messe sotto sequestro dalla magistratura) riporta i tre punti agli emiliani. A fine Campionato Inter e Bologna sono appaiate a 54 punti, e lo Scudetto deve essere deciso sul neutro di Roma: nell'unico spareggio per il primo posto della storia, il Bologna. Si gioca a pochi giorni dalla vittoria europea e non è fuori luogo affermare che - lo confesseranno gli stessi calciatori molti anni dopo[senza fonte] - non solo gli interisti erano convinti di fare un boccone del Bologna, ma che erano altresì deconcentrati e stanchi. Naturalmente, i maligni dissero che la squadra era ancora sotto gli effetti del (presunto) doping della finale continentale. Sta di fatto che il Bologna (che da oltre trentanni non faceva suo un campionato) si impone per 2-0 con una delle rarissime autoreti di Facchetti e gol di Nielsen lasciando i nerazzurri a bocca asciutta. Va segnalato che, con le regole attuali, l'Inter averebbe vinto il Campionato in virtù del 2-0 totale (0-0/2-0) negli scontri diretti. La nuova stagione inizia con un importante trofeo: la Coppa Intercontinentale. Il cattivo inizio con la sconfitta 1-0 in Argentina è appianato da un 2-0 a Milano. La vincente fra i nerazzurri e l'Independiente deve essere determinata il 26 settembre sul neutro di Madrid, dove l'Inter batte gli avversari con un 1-0 siglato da "Mariolino" Corso, laureandosi club campione del mondo per prima in Italia. In campionato l'inizio non è dei migliori, tanto che a fine gennaio il Milan ha sette punti di vantaggio. In una rimonta durata due mesi l'Inter vince 5-2 il derby, portando il distacco a un solo punto, e opera il sorpasso battendo 2-0 la Juventus a Torino mentre i cugini perdono in casa contro la Roma. Alla fine della Serie A 1964/65 si aggiungono altri due punti di distacco: l'Inter è Scudetto, con una rimonta strepitosa che darà a questo scudetto il nome di "Scudetto con sorpasso". Nel frattempo prosegue il cammino in Coppa dei Campioni inanellando un eclatante 6-0/1-0 alla Dinamo Bucarest, un più sofferto passaggio contro i Rangers (3-1/0-1, rischiando di andare allo spareggio) e un'incredibile eliminazione del Liverpool, che dopo aver vinto 3-1 in Inghilterra è travolta dai nerazzurri 3-0 a San Siro, con un rocambolesco goal del neoacquisto spagnolo Joaquin Peiró. La finale per l'Inter si gioca in casa, ma la vittoria non è così scontata: sotto una pioggia scrosciante entra solo il tiro di Jair, ma basta per fare dei nerazzurri i nuovi Campioni d'Europa. Manca un solo trofeo al grande slam: è la Coppa Italia. Il 29 agosto a Roma si gioca Juventus-Inter, ma la supremazia nerazzurra dimostrata in tutti gli altri tornei non si fa vedere. Con una rete di Giampaolo Menichelli i bianconeri tolgono alla Beneamata l'ultimo trofeo. Il 1965/66 si apre di nuovo sotto il segno di un'importante vittoria. In Coppa Intercontinentale i Campioni d'Europa affrontano ancora una volta l'Independiente, senza però dover ricorrere allo spareggio, poiché al 3-0 siglato a Milano si aggiungere un pareggio a reti inviolate a Buenos Aires. In Campionato gli avversari sono tanti, ma nessuno si fa abbastanza valere: il Napoli degli acquisti record Sivori e Altafini perde competitività alla tredicesima Giornata, il Milan, secondo di un punto a metà Campionato, crolla nel ritorno e il Bologna, risorto dopo un'iniziale crisi, si gioca tutte le speranze pareggiando la penultima contro la Juventus, mentre l'Inter affonda la Lazio e guadagna in anticipo la certezza matematica della Stella sul petto, simbolo di dieci Scudetti. Un'inaspettata nota negativa arriva dalla Coppa dei Campioni: dopo aver eliminato la Dinamo Bucarest (1-2/2-0) e il Ferencvaros (4-0/1-1), un Real Madrid dal dente avvelenato si prende la rivincita di due anni prima, elimina i nerazzurri (0-1/1-1) e si invola verso il suo trionfo. Negativa anche la Coppa Italia, con l'Inter fuori in semifinale. La fine di un ciclo [modifica]Nel 1967 l'Inter arriva alla fine della stagione in testa alla classifica ed in finale di Coppa Campioni ma in tre giorni perde tutto: il trofeo continentale va al Celtic Glasgow, che vince per 2-1, lo scudetto alla Juventus, dopo aver perso incredibilmente l'ultima di campionato contro il Mantova per 1-0 grazie a un clamoroso errore del portiere Sarti. Herrera resta un altro anno, ottenendo un anonimo quinto posto, e poi va alla Roma, mentre Moratti decide che era ora di passare la mano e lascia la presidenza a Ivanoe Fraizzoli nel 1968. Sull'epopea della "Grande Inter" Ferruccio Mazzola ha gettato fosche nubi, accusando in particolare l'allenatore Herrera di sistemi di allenamento e punizione troppo severi e di impiegare costantemente sostanze dopanti.[3] Tali accuse non hanno però mai trovato un riscontro concreto . La formazione [modifica]La formazione della Grande Inter è diventata una di quelle entrate nella storia del calcio italiano, fra quelle che si ricordano a memoria: Sarti, Burgnich, Facchetti... Difesa [modifica]Fra i pali venne schierato, fino al 1963, Lorenzo Buffon, poi scambiato con Giuliano Sarti alla Fiorentina. Sarti divenne uno dei migliori portieri dell'epoca fra i pali dell'Inter. Come portiere di riserva l'Inter poteva contare sull'esperto Ottavio Bugatti. I quattro difensori arrivarono tutti quanti al successo della maglia azzura, in particolare i due terzini, Tarcisio Burgnich a destra, forte in marcatura, insuperabile di testa, Giacinto Facchetti a sinistra, con le sue incursioni sulla fascia e i numerosi gol che fecero di lui il primo terzino-goleador del calcio italiano. Al centro Aristide Guarneri giocava in marcatura sul centravanti avversario mentre Armando Picchi ricopriva il ruolo di libero. Nemmeno un grande campione come Saul Malatrasi riuscì a spezzare gli equilibri creati da questi quattro giocatori. Altro difensore della Grande Inter fu per alcune stagioni Spartaco Landini. Ovviamente, doveva accontentarsi di "tappare i buchi" lasciati da uno dei quattro. Ciononostante, fece alcuni incontri con la Nazionale e Fabbri se lo portò in Inghilterra, ai mondiali, ma più per sfregio nei riguardi della difesa interista, il cui perno era Armando Picchi - che lasciò a casa - che non per pensare di utilizzarlo; tant'è che non utilizzò neppure gli altri interisti in blocco, ma i "suoi" bolognesi. Centrocampo [modifica]Faro del centrocampo della squadra fu senza ombra di dubbio Luisito Suarez, che Herrera aveva fortemente voluto con sé dopo l'esperienza al Barcellona. Alessandro Mazzola invece rimaneva il punto di riferimento per la finalizzazione della manovra, facendo da ponte fra centrocampo e attacco dopo aver cominciato la carriera come attaccante. Mancò invece una figura fissa nel ruolo di mediano, che vide susseguirsi giocatori di calibro come Gianfranco Bedin, Carlo Tagnin e Franco Zaglio. A parte vanno nominate le grandi ali che ebbe l'Inter in quel periodo, su tutti Mariolino Corso sulla fascia sinistra, ma non sono da dimenticare nemmeno Jair e Angelo Domenghini sulla fascia destra. Attacco [modifica]La figura che mancò maggiormente alla Grande Inter fu probabilmente un grande centravanti, ma evidentemente non fu una carenza di peso. Inizialmente ricoprirono il ruolo di punte l'inglese Gerry Hitchens e prima ancora il sudafricano Edwing Firmani, ma furono presto soppiantati dall'astro nascente di Mazzola. Inizialmente fu affiancato da un onestissimo Beniamino Di Giacomo o da Aurelio Milani, poi da Joaquín Peiró e da Angelo Domenghini che alternava il ruolo di ala e di centravanti. Angelillo avrebbe potuto essere la punta di diamante dell'attacco, ma Herrera non ebbe l'intelligenza e il coraggio di attendere che tornasse ai suoi livelli, anche perche' ne' temeva il carattere. HH comunque fece due falsi tentativi in seguito: con nielsen e Vinicio. Ma appunto, erano falsi: li fece acquistare per toglierli dal mercato. Pare invece che andasse matto per Pedro Manfredini, ex nazionale argentino prima di arrivare alla Roma e fare sfracelli. Na i giallorossi non vollero mai cederlo, se non quando oramai aveva dato tutto. Voci correlate [modifica] |
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